“L’inflazione correva così in fretta che ad ogni passo la scarpa destra costava più di quella sinistra” – Eros Drusiani
La citazione dell’umorista Eros Drusiani può risultare eccessiva agli occhi del consumatore italiano: nell’esperienza dell’Unione Europea, infatti, non si sono verificate spinte inflazionistiche degne di nota. Tuttavia, la storia, anche recente, è piena di esempi che possono ad oggi fungere da ammonimento: dalla Germania post conflitto mondiale, ai casi più attuali dell’Argentina e del Venezuela, l’inflazione si è dimostrata essere un flagello economico.
Oggi, persino la solida Europa rischia di sperimentarne gli effetti: l’aumento del costo dei noli marittimi, unito al rincaro senza precedenti delle materie prime, sta generando una reazione a catena che potrebbe avere effetti devastanti sull’economia comunitaria – compresa quella italiana – e internazionale minacciando la ripresa post-pandemia.
LO SCENARIO
Dai carburanti – +12€ per un pieno di benzina – ai servizi energetici, passando per il quotidiano caffè, il consumatore italiano ha visto i costi della sua spesa lievitare. Lo spropositato rincaro è generato da molteplici fattori esogeni, ma pone come minimo comune denominatore l’aumento del prezzo delle materie prime: i dati pubblicati dagli analisti di Confindustria evidenziano un aumento generalizzato di tutte le commodities non energetiche del 33,4% su base annua, con picchi dell’88,1% per il minerale ferroso, del 77% per lo stagno, del 77,7% per il rame, del 68,4% per il cobalto. Questi sono solo alcuni esempi che presuppongono uno scenario drammatico per aziende e consumatori: l’aumento del prezzo del legno, dell’acciaio e del ferro sta causando un rallentamento del settore edilizio, mettendo a rischio la manovra “Superbonus” promossa dal Governo; l’aumento di listino di beni fondamentali come il mais o il grano – unito al blocco delle navi e al costo elevatissimo di trasporto marittimo – rischia di rendere più difficilmente accessibile ai consumatori i prodotti fondamentali per il fabbisogno quotidiano. La disputa tra Emirati Arabi e Arabia Saudita sul controllo del petrolio – unita all’oscillamento del prezzo del greggio nei mesi durante e post lockdown – ha prodotto un inevitabile aumento del prezzo per barile dell’oro nero, causando rincari sui carburanti in tutta Europa: particolarmente colpita l’Italia, che ha visto lievitare benzina e diesel proprio in prossimità delle vacanze estive.
A causa della pandemia si è poi registrato il più alto aumento del prezzo del caffè (+1.4%), rendendo dispendiosa un’attività quotidiana e iconica per milioni di italiani.
A tutto ciò, si somma l’incremento vertiginoso del costo dei noli marittimi, che interessa tutte le rotte globali, in particolare quella Cina-Mediterraneo. La rotta Shangai-Genova ha fatto registrare un +540% su base annua, quella Shangai-Rotterdam un esorbitante +578%. La media globale degli incrementi, invece, si attesta sul +370%.
Aumenti che se dovessero persistere nel tempo potrebbero innescare una pericolosa spirale inflazionistica, che imporrebbe alle banche centrali di adottare misure restrittive per contenerla, con il rischio di un importante rallentamento della ripresa economica. Secondo Schroders, la FED sta già iniziando ad intraprendere un’azione preventiva e ridurrà il ritmo degli acquisti nel quarto trimestre di quest’anno. Entro fine 2022, si potrebbe assistere ad un rialzo dei tassi di interesse americani. La BCE non sembra ancora voler ridimensionare la propria politica monetaria espansiva, ma il solo dubbio che questo avvenga potrebbe generare tensione sui mercati finanziari con conseguente aumento dei tassi di interesse.
Un processo già in corso che però fa registrare il totale disinteresse da parte degli organi istituzionali: è necessario che la politica prenda atto del tracollo vertiginoso verso cui sembra propendere l’economia, adoperandosi per tutelare le aziende e i consumatori finali prima che sia troppo tardi.