Continua a tenere banco il problema relativo alle materie prime: la crisi generata dalla pandemia da Covid -19 ha causato, oltre che difficoltà logistiche, anche un generale aumento del prezzo delle commodities. Il rincaro ha coinvolto diversi settori produttivi – con la Cina spettatrice interessata – facendo registrare un incremento senza precedenti nel corso della storia recente.
Una situazione che ha intaccato pesantemente la stabilità delle aziende e i rapporti internazionali e che rischia di ripercuotersi sul consumatore finale. Qualcosa però sembra essere mutato nel corso della settimana precedente, quando si è registrato un ribasso dei prezzi relativi a sei metalli su sette: tra questi, si evidenzia una forte diminuzione del costo del rame e del nichel.
Anche l’indicatore di momentum che misura la forza del trend in atto è in zona neutra ma in ribasso e molto vicino all’ipervenduto. Ma a cosa si deve il cambio di rotta del trend delle materie prime?
Alla base di questa positiva inversione di tendenza sembra esserci una duplice “responsabilità”: da un lato l’azione della FED – Federal Reserve – che ha dichiarato che inizierà a rivedere la sua politica monetaria in senso restrittivo dal 2023, facendo così schizzare il valore del dollaro; dall’altro il vero e proprio giro di vite da parte della Cina, che ha annunciato “tolleranza zero” contro gli speculatori.
Il paese asiatico è il primo importatore di materie prime e primo esportatore di beni di consumo: l’economia cinese deve dunque necessariamente tener conto dell’andamento dei costi delle commodities. Ecco perché, già da qualche settimana, la Cina ha stabilito che immetterà sul mercato parte delle sue riserve strategiche a partire da quelle di metalli non ferrosi.
Pechino ha inoltre annunciato tolleranza zero verso chiunque partecipi alla manipolazione del mercato, all’accaparramento o alla diffusione di notizie false. Parallelamente la Commissione per la supervisione e l’amministrazione dei beni ha ordinato alle imprese statali di controllare il rischio e limitare l’esposizione ai mercati delle materie prime d’oltremare. La National Food and Strategic Reserves Administration cinese conferma il rilascio di “lotti” di scorte di rame, zinco e alluminio sul mercato, per rifornire direttamente i produttori a valle, che sono stati colpiti dai prezzi elevati delle materie prime.
Inoltre, l’autorità di regolamentazione bancaria cinese ha chiesto agli istituti di credito di interrompere la vendita di prodotti di investimento collegati a futures sulle materie prime agli acquirenti finali.
“L’aumento dei prezzi delle materie prime a terra sta alimentando l’inflazione – ha sottolineato Alicia Garcia Herrero, capo economista – la Cina non vuole farsi trovare impreparata o spaventata dall’inflazione come gli Stati Uniti”.
La strategia intrapresa dalla Cina ha già mostrato i primi segnali incoraggianti: si evidenzia infatti un ribasso del costo della materie prime per la prima volta nel post pandemia. Tuttavia è ancora presto per parlare di una vera e propria inversione di tendenza, dato che gli elementi che avevano portato all’incremento – ripresa repentina, aumento domanda materie prime, blocchi nella supply chain e ruolo primario della Cina – continuano a persistere rendendo il mercato instabile.