La corsa al rialzo dei prezzi delle materie prime e dei noli marittimi potrebbe innescare presto un incremento consistente del tasso di inflazione, con il rischio concreto di un rallentamento generalizzato della ripresa economica post-pandemia.
La ripresa post-pandemia, secondo i principali istituti di analisi, si preannuncia consistente, complice l’ondata di euforia che sta investendo i paesi industrializzati dopo le riaperture generalizzate, la robusta risalita della domanda di beni e servizi e la fiducia nelle misure di finanza pubblica – prima fra tutte, il Recovery Fund europeo – poste in essere dalle istituzioni nazionali e sovranazionali.
Secondo gli economisti della società di investimento Schroders, il Pil globale nel 2021 crescerà del 5,9%, mentre quello dell’eurozona, stando alle previsioni della società di consulenza italiana Prometeia, toccherà quota +4,3%, con l’Italia che si distinguerà positivamente con una crescita stimata del 5,3%.
“Gli interventi previsti nel Pnrr – proseguono gli esperti di Prometeia – avranno un ruolo rilevante nel mantenere la crescita, almeno per qualche anno, su ritmi molto superiori a quelli medi storici del nostro Paese. Ciò consentirà innanzitutto al Pil di recuperare i livelli pre-crisi nella seconda metà del 2022. La ripresa sarà trainata dagli investimenti in costruzioni e dagli investimenti strumentali, entrambi spinti dai progetti del Pnrr”.
Anche Banca d’Italia conferma il quadro ottimista disegnato dalle analisi riportate precedentemente, fissando la crescita italiana nel 2021 al 5%.
Pericolo Inflazione: numeri e cause
Una prospettiva apparentemente rosea, sulla quale, però, pende una enorme spada di Damocle: l’inflazione. Già adesso, il tasso è in crescita in praticamente tutti i paesi industrializzati. Negli Stati Uniti ha toccato quota 5%, l’aumento più forte dal 2008. In Europa l’incremento è ancora contenuto, ma il trend è in preoccupante ascesa.
In Germania si è passati dall’1% di inizio anno al 2,5% attuale; in Francia dallo 0,6% all’1,4%; in Italia dallo 0,4% all’1,3%. Nell’insieme dei paesi Ocse l’indice dei prezzi al consumo riporta un +3,8%, in aumento rispetto al +3,3% di aprile. Un rischio, quello dell’inflazione, assolutamente concreto, come confermato da Christine Lagarde, presidentessa della Bce, secondo la quale “l’inflazione è salita nei mesi recenti ed è probabile che aumenterà ancora in autunno”.
Anche l’ex premier Romano Prodi, intervenuto ai microfoni di Tg2 Post, si è espresso sul tema, evidenziando come l’aumento diffuso dei prezzi può rappresentare un rischio per la ripresa: “non ho mai visto in vita mia un aumento di prezzi delle materie prime così generalizzato. [L’inflazione ndr] non è un problema odierno, ma di domani, e va già impostato”.
Tra le cause, l’esplosione del prezzo delle materie prime e dei noli marittimi, che sta provocando un aumento generalizzato dei costi aziendali e una conseguente pressione al rialzo sui prezzi di listino. Gli aumenti sono generalizzati e coinvolgono diversi settori produttivi.
Il dato aggregato evidenzia, ad aprile 2021, un incremento del prezzo delle commodities non energetiche del 33,4% su base annua, con picchi dell’88,1% per il minerale ferroso, del 77% per lo stagno, del 77,7% per il rame, del 68,4% per il cobalto. Il legno, a febbraio 2021, ha fatto registrare un +7% rispetto ad ottobre 2020, la gomma +10%, il grano +13%, il mais +31%. Il petrolio, che nei primi mesi di pandemia aveva raggiunto i minimi storici, è tornato a salire prepotentemente riportandosi sui livelli di febbraio 2020. Il 5 luglio il Brent è stato scambiato a 77,05 dollari, dai 51,5 di inizio anno.
A tutto ciò, si somma l’incremento vertiginoso del costo dei noli marittimi, che interessa tutte le rotte globali, in particolare quella Cina-Mediterraneo. La rotta Shangai-Genova ha fatto registrare un +540% su base annua, quella Shangai-Rotterdam un esorbitante +578%. La media globale degli incrementi, invece, si attesta sul +370%.
Aumenti che se dovessero persistere nel tempo potrebbero innescare una pericolosa spirale inflattiva, che imporrebbe alle banche centrali di adottare misure restrittive per contenerla, con il rischio di un importante rallentamento della ripresa economica. Secondo Schroders, la FED sta già iniziando ad intraprendere un’azione preventiva e ridurrà il ritmo degli acquisti nel quarto trimestre di quest’anno. Entro fine 2022, si potrebbe assistere ad un rialzo dei tassi di interesse americani. La BCE non sembra ancora voler ridimensionare la propria politica monetaria espansiva, ma il solo dubbio che questo avvenga potrebbe generare tensione sui mercati finanziari con conseguente aumento dei tassi di interesse.